Istat: cresce il Pil ma calano i salari

L’unica differenza rimasta riguarda i livelli salariali che per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del jobs act sono rimasti sostanzialmente fermi a 10 anni fa, mentre per i neo-assunti i salari sono precipitati al di sotto della soglia di sopravvivenza, fino all’insulto del “lavoro gratuito che ti fa curriculum” come nel caso dell’accordo su Expo di Milano

Trento -

In questi giorni governo, ministri e i grandi mass media si gongolano dietro i dati della presunta crescita del PIL (oltre le aspettative) mentre, naturalmente in onore alla libertà e indipendenza della stampa, i dati sulla riduzione dei salari in generale e di quello dei giovani in particolare non ha dritto di cronaca.
Parlo di quei giovani che hanno la fortuna di trovare un lavoro e che vengono pagati, quando sono fortunati, con un salario mediamente più basso dei lavoratori anziani che arriva al 35%.
Un calo dei salari e dei redditi che non è casuale, ma figlio delle politiche di austerità imposte dalla troika che ha portato i governi italiani, da Berlusconi a Renzi, a destrutturare le leggi a tutela del lavoro.
Noi, spesso da soli, lo abbiamo gridato da tempo, da quando si criticavano i contratti di formazione introdotti dalla legge Treu, le norme varate da Biagi, e via precarizzando. Ma le tre confederazioni anziché combattere questa logica perversa del doppio trattamento (giovani/anziani) hanno pensato di cavalcare questa situazione e trarne vantaggio attraverso la gestione dei fondi a partire da quello pensionistico per arrivare alla gestione del welfare passando per i fondi sanitari.
La via scelta sia dai governi di “controdestra” o di “centrosinistra” è stata quella di creare due diversi mercati del lavoro: uno che conservava parte delle antiche regole e uno completamente precario, strutturato su ben 46 forme contrattuali diverse, tutte senza alcun diritto esigibile.
Una scelta politica che ha permesso loro di evitare un conflitto frontale con l’insieme del mondo del lavoro ottenendo, con la complicità di CgilCislUil, il sostanziale via libera alla precarietà universale ed alla cancellazione dell’articolo 18, che impediva i licenziamenti “senza giusta causa” (ossia ad arbitrio del padrone) attraverso lo strumento della reintegra.
Si può tranquillamente sostenere che CgilCsilUil da questa grande operazione di precarizzazione e smantellamento dei diritti e della riduzione dei salari, – con un concetto distorto di solidarietà – hanno saputo trarne un vantaggio economico. Un vantaggio che come un cappio al collo, oggi impedisce ogni loro possibile reazione/opposizione a questo processo.
Ora che in questa situazione di precarietà generalizzata e di bassi salari comincia ad essere evidente a tutti e che le politiche che hanno definitivamente stravolto il mercato del lavoro in Italia – lungo un tracciato infame che va dal “pacchetto Treu” al Jobs Act renziano – avevano come unico obiettivo quello di abbassare il livello del salario medio fin quasi al limite della sopravvivenza, e spesso anche sotto.
Con il Jobs act il “sinistro” Renzi, dopo il clamoroso fallimento di Berlusconi nel 2003 è riuscito nell’impresa di cancellare ogni differenza tra un contratto precario e uno a tempo indeterminato.
L’unica differenza rimasta riguarda i livelli salariali che per i lavoratori assunti prima dell’entrata in vigore del jobs act sono rimasti sostanzialmente fermi a 10 anni fa, mentre per i neo-assunti i salari sono precipitati al di sotto della soglia di sopravvivenza, fino all’insulto del “lavoro gratuito che ti fa curriculum” come nel caso dell’accordo su Expo di Milano
E pensare che da anni i fautori dell’Europa ci hanno spiegato che queste riforme del lavoro erano finalizzate all’inserimento dei giovani nel mercato del lavoro. Una menzogna ignobile se pensiamo che queste di riforme economiche hanno portato l’Italia ad avere il livello di disoccupazione giovanile più alto d’Europa (Grecia a parte), i salari più bassi e il divario salariale più alto tra le generazioni.
In questo massacro sociale il ruolo dei vari governi che si sono succeduti, la complicità dei confederali e di una certa sinistra “radical-sic” sono stati decisivi che, con il loro asservimento – anche culturale – ai diktat della Troika, (Unione Europea, Bce, Fmi) hanno generato una struttura industriale povera e fondata su caporali e schiavisti d’ogni ordine e grado.
Per questo oggi più che mai per unificare le generazioni e combattere la precarietà sono indispensabili due obietti: uscire dall’Euro ridurre l’orario di lavoro a parità di salario e definire un salario minimo garantito per legge.
Questi obiettivi dovono essere al centro dell’iniziativa sindacale per unificare quello che Europa e mercato dividono, per riconquistare uno Stato sociale che garantisca diritti,servizi e reddito a tutti, per riconquistare la dignità del e nel lavoro.
Ezio Casagranda - USB Trentino