La "buona scuola" Trentina

Il percorso è diventato esattamente inverso: ogni anno i docenti vengono chiamati a “collaborare” a progetti interamente organizzati e definiti nei dettagli dall’ente proponente, che spesso ha finalità proprie, non sempre del tutto collimanti con le esigenze didattiche, soprattutto nelle classi inferiori.

Trento -

ALCUNE NOTE SU TRILINGUISMO E CLIL (Content and Language Integrated Learning)

In una una serie di accattivanti slide, fino a poco tempo fa facilmente consultabili, sul sito “Vivoscuola”, vengono presentati in sintesi i contenuti del “Protocollo d’Intesa tra il Ministro dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca e la Provincia autonoma di Trento per lo sviluppo delle lingue”. Obiettivo generale è il raggiungimento di elevati livelli di competenza nella comprensione ed uso di almeno due lingue straniere da parte degli alunn* trentin*, fin dalla prima infanzia (asili nido).
Fondamentale per il conseguimento di tale obiettivo, l’ adozione – in tutti gli ordini di scuola – della metodologia CLIL, reclamizzata nell’ambizioso (e probabilmente assai costoso) programma del Festival delle lingue, tenutosi a Rovereto lo scorso mese di marzo, come un “vero e proprio punto di partenza per una delle più significative innovazioni nel campo dell’insegnamento delle lingue”.
E che cosa prevede concretamente, in merito al CLIL (cioè l’apprendimento di alcune discipline attraverso l’inglese e il tedesco), il protocollo d’Intesa?
Che in aggiunta alle attuali ore settimanali di insegnamento in lingua inglese e tedesca (ad esempio, 2 di tedesco e 2 di inglese negli ultimi tre anni di scuola elementare, 3 di tedesco e 3 di inglese alla scuola media) si effettuino con questa metodologia:
– 3 ore in inglese o tedesco in 1° e 2° elementare (o scuola primaria),
– almeno 5 ore in inglese o tedesco dalla 3° elementare,
– 3 ore in inglese o tedesco nel triennio della scuola media (o scuola secondaria di I grado),
– il 50% di una materia non linguistica in tutti gli anni della scuola superiore (o secondaria di secondo
grado).
Come appare evidente, il maggiore investimento in termini di orario si ha nella scuola primaria e secondaria di primo grado e questo forse ha fatto sì che a molti docenti della scuola superiore la direttiva provinciale non appaia in tutta la sua pericolosità.
Premettendo che non si intende certo disconoscere l’importanza e l’utilità del possesso di buone competenze nelle lingue straniere, quello che suscita grandi preoccupazioni per le sue prevedibili ricadute didattiche è proprio la metodologia che verrà imposta alle scuole.
Un paio tra i principali elementi critici, volendo rimanere solo sul piano della didattica:
1. soprattutto alla scuola elementare e media, l’inserimento del CLIL vedrà il corrispondente calo di ore di italiano. Questo, a fronte di una realtà che vede diminuire sempre più le competenze da parte degli alunni, un problema a cui da anni i docenti cercano di far fronte con grande fatica, date le risorse sempre più scarse;
2. pensare di trasmettere parte dei contenuti delle materie scolastiche (es. Storia, Storia dell’arte, Scienze, Geografia), in una lingua che non è quella prevalente delle/i alunn*, implicherà l’eliminazione, o almeno una sensibile riduzione di tutto quel lavoro sul lessico, sulla capacità di esprimere pensieri, deduzioni e ragionamenti personali, sulla possibilità di porre “questioni complesse”e di sviluppare il senso critico, atteggiamenti che ancora oggi la scuola cerca di favorire e che ne sono uno degli elementi più qualificanti.
Ne sarà inevitabile conseguenza una “semplificazione” nell’approccio allo studio e un implicito invito a realizzare
accattivanti prodotti a cui non necessariamente corrisponderanno reali risultati.
“Effetto collaterale” non previsto o piuttosto risultato consapevolmente perseguito?
Inoltre, se l’obiettivo che la provincia intende darsi è il miglioramento delle capacità comunicative nelle lingue straniere da parte delle/i alunn* trentin*, lo si otterrà facendo un’ unità didattica in geografia, ad esempio sull’idrografia? Quando i ragazz* affronteranno un soggiorno all’estero useranno la loro conoscenza della lingua per disquisire sull’argomento trattato in Geografia o in Storia dell’Arte? Non è una battuta ma una domanda seria: perché l’ acquisizione di buone competenze linguistiche in inglese e tedesco deve passare per l’apprendimento di contenuti in lingua straniera e non piuttosto prevedere l’intensificazione di corrispondenze con altri ragazzi (anche attraverso l’uso di skype), nella visione di film in lingua originale e via dicendo, attività e progetti che peraltro tanti bravi e motivati colleghi di lingue straniere hanno sempre potato avanti?
Altro allarme si aggiunge quando in un’altra slide del citato spot provinciale si legge che sarà fondamentale “investire sui professionisti della scuola attraverso formazione e aggiornamento, sia per i docenti già presenti nel sistema, sia per i docenti che entreranno con concorso” e che nel quinquennio 2015/20, per la formazione linguistica e metodologica, sono stati destinati 21 milioni di euro.
Inoltre, sempre in nome della qualità, nelle scuole superiori si intendono realizzare “laboratori e progetti in CLIL, grazie alla collaborazione con l’Università e i centri di ricerca del territorio.

LO SCIPPO DELLA PROGETTUALITA’ INTERNA AGLI ISTITUTI

A questo proposito, rileviamo come, da diversi anni, sia in corso un vero e proprio “scippo” della progettualità dei/lle docenti, una forma di esternalizzazione delle attività per cui, i progetti non è più naturale che nascano all’interno della scuola e che le istituzioni esterne forniscano un supporto di tipo specialistico, una collaborazione da parte di esperti che adattano il loro intervento alle esigenze didattiche dei progetti, appunto, per i quali vengono interpellati.
Il percorso è diventato esattamente inverso: ogni anno i docenti vengono chiamati a “collaborare” a progetti interamente organizzati e definiti nei dettagli dall’ente proponente, che spesso ha finalità proprie, non sempre del tutto collimanti con le esigenze didattiche, soprattutto nelle classi inferiori.
In tali progetti, a volte implicitamente, a volte addirittura in modo esplicito viene chiaramente attributo agli insegnanti il compito di fare da supporto all’espert* o di costituire il tramite tra lo stess* e gli alunn*.
Il che costituisce un ulteriore contributo alla svalutazione del ruolo dei docenti, già in atto da molto tempo, ma anche un’implicita ammissione di disinteresse (o addirittura di totale incomprensione!) per quello che significa realmente realizzare progetti a scuola, misurati sui reali bisogni degli alunn*, costruiti per permettere loro di fare determinate esperienze, di mettere in atto abilità, competenze, che chi lavora con loro può utilizzare in modo migliore rispetto a chi fa una proposta dall’esterno, mirando spesso più al prodotto finale che al percorso attraverso il quale lo si realizza.

Grazia Francescatti, USB – Scuola del Trentino