Prove di precarietà con il nuovo periodo di prova del personale scolastico a tempo determinato
L’introduzione del periodo di prova del personale docente a tempo determinato all’interno del CCPL art. 40 bis, previsto all’art. 23 dell’accordo modificativo del 4.6.2018, sembra essere passato in sordina nel mondo della scuola, eppure contiene principi e possibilità di applicazione estremamente preoccupanti.
Detto articolo prevede che il docente che riceva un contratto di assunzione a tempo determinato superiore ai sei mesi sia sottoposto ad un periodo di prova di 90 giorni di effettiva presenza in servizio. È di esclusiva competenza del Dirigente decidere in merito al superamento o meno del periodo di prova ed è facoltativa la nomina di un tutor che affianchi il docente in prova, ciò rientra nella discrezionalità del Dirigente. Il superamento del periodo di prova, attestato dal parere positivo del Dirigente scolastico, è valido anche per i successivi incarichi a tempo determinato sulla stessa classe di concorso. Il parere negativo del Dirigente è motivo di recesso dal contratto, deve avvenire entro i tre mesi dall’assunzione in servizio e pregiudica al docente la possibilità di stipulare un nuovo contratto nella medesima classe di concorso per i successivi due anni. Il superamento di tale periodo non esonera il docente dal dover sostenere l’anno di prova dopo l’immissione in ruolo e non concerne i licenziamenti disciplinari, che restano regolati da normativa specifica definita all’interno dell’accordo dall’art. 4 comma 13 dell’allegato G/2018.
Un modifica strutturale del rapporto di lavoro, definita dai sindacati firmatari “un buon accordo”, che viene presentata come la panacea in grado di risolvere quella che molti considerano la causa delle carenze del nostro sistema scolastico: il docente incompetente e fannullone, intoccabile perché garantito da norme che legano le mani dei dirigenti. Meglio stroncarli sul nascere della propria carriera.
Non essendo andata in porto l’auspicata chiamata diretta dei docenti, la scuola trentina – che su questo è fucina di sperimentazione delle peggiori nefandezze poi esportate a livello nazionale – pensa al modo più semplice per mandare a casa gli aventi diritto che si è costretti a chiamare e che possono non risultare di gradimento proprio o delle famiglie. La logica aziendalistica e privatistica che in diverse forme si sta imponendo all’interno delle nostre scuole riceve un altro importante tassello per tenersi su.
Eppure, anche prima dell’introduzione del periodo di prova, un docente, sia precario che non, era passibile di provvedimenti disciplinari e anche di licenziamento. La novità del art. 40 bis è però sostanziale e pertanto va contestata nella sua logica di fondo. Al Dirigente scolastico non è richiesto di segnalare, intervenire nei casi specifici di violazione degli obblighi contrattuali, disciplinari o di palese incompatibilità con la funzione docente ma di esprimere per ogni docente precario un giudizio di idoneità, come chiarito dalla circolare del 20 settembre 2019, dove si legge che l’ambito della prova riguarda l’idoneità in relazione al profilo professionale di riferimento e contempla competenze disciplinari, psicopedagogiche, metodologiche, didattiche, organizzative, relazionali e di ricerca, linguistiche ed informatiche, tra loro correlate e interagenti. Si capisce perché molti precari oggi arrivano a scuola intimoriti e rinunciano pure ad esigere i più elementari diritti prestandosi a tutto. Ne va della stessa possibilità di lavorare.
In soli tre mesi un Dirigente dovrebbe, da solo e magari seguendo più docenti contemporaneamente, essere in grado di esprimere un giudizio su abilità che certo non sono oggettivamente certificabili (tanto più in un periodo così ristretto) e che spesso è lo stesso dirigente a non possedere. Unica alternativa è attenersi alle lamentele che arrivano da genitori e studenti che, come sappiamo, poco gradiscono oggi valutazioni negative o rigore disciplinare. Per il docente precario evidentemente non vale il sacrosanto principio costituzionale della libertà d’insegnamento, non ha valore l’idoneità che dovrebbe essere conseguita mediante pubblico concorso, non valgono le garanzie di essere giudicati da un comitato di valutazione nominato dal Collegio docenti come avviene per i colleghi neo ammessi in ruolo. Invece di pensare alla stabilizzazione dei precari, all’immissione in ruolo di chi lavora da più di 36 mesi, così come stabilito dalla normativa europea, alla formazione e alle procedure per consentire l’ingresso in graduatoria di chi lavora e aspetta concorsi da anni, invece di pensare di estendere anche ai precari il diritto a percepire scatti di anzianità come riconosciuto da tutti i tribunali del lavoro, si pensa al modo più efficace per stabilizzare la precarietà vincolando il destino lavorativo dei docenti alla volontà del Dirigente di turno. Prove di precarietà si potrebbe dire.